Salute e Ambiente
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SteveR
[2017] - Quattro passi nella "Ecologia": dalla denuncia alla "resilienza sociale" Molti problemi ecologici, probabilmente la maggior parte di loro, stanno diventando sempre più gravi ed alcuni velocemente tendono a causare disastri irreversibili. E’ quindi il momento di avviare un ripensamento ed una profonda speculazione sulla scienza ecologica: 1) Per definizione, le Società Scientifiche di Ecologia (inclusa ISDE) si occupano prevalentemente dello studio delle cause e delle conseguenze di situazioni ambientali pericolose per la salute pubblica. Tradizionalmente, lo scopo di queste Società è stato prevalentemente la documentazione della esistenza di problemi ambientali e delle loro conseguenze sulla salute ( fase di denuncia ). 2) La prima fase della denuncia, logicamente, dovrebbe includere (ma non sempre ciò accade) la definizione delle misure che sono considerate necessarie al fine di prevenire o rimuovere gli attesi danni alla salute ( fase della proposta ). 3) Gli ecologisti sono normalmente inclini a demandare all'Autorità Pubblica o ad altri Operatori Sociali il compito di porre in pratica gli interventi necessari a ridurre o eliminare le cause riconosciute di minaccia alla salute. Sfortunatamente e nonostante gli sforzi meritevoli di molte Società Scientifiche ambientaliste (inclusa ISDE), dobbiamo riconoscere che nel corso degli ultimi decenni il numero e l'intensità dei fattori ambientali che sono capaci di danneggiare la salute pubblica (parliamo prevalentemente di qualità dell'aria, dell'acqua, del cibo e delle conseguenze dell’ inarrestabile cambiamento climatico) sono in continuo aumento e peggioramento. Questo fatto dimostra che i processi descritti come fasi uno e due (denuncia e proposte) nella maniera in cui sono stati applicati fino ad ora, non sono sufficienti per raggiungere i nostri scopi: ovviamente le soluzioni proposte dagli ecologisti sono o insufficienti o non arrivano nemmeno ad essere poste in opera. L’Agente interessato e capace di modificare la situazione è probabilmente soltanto l'opinione pubblica: noi dobbiamo chiedere alla nostra popolazione di cooperare ( fase di comunicazione ). 4) Noi dobbiamo essere ben coscienti che con una certa (probabilmente alta) probabilità il terzo livello (quello di comunicare alla pubblica opinione quali sono le misure che, se poste in pratica, potrebbero rimuovere importanti minacce per la salute pubblica) sarà inefficiente. In tempi di “dopo verità” “fake-news” e forte influenza finanziaria sopra i mezzi di informazione, i nostri messaggi hanno alta probabilità di essere sommersi dal rumore di fondo o persino trovare specifica opposizione, se in contrasto con specifici interessi. Evidentemente, noi dobbiamo immaginare un quarto livello di azione: come possiamo noi ottenere il necessario livello di cooperazione da parte della popolazione? Noi definiamo “resilienza sociale” la capacità di una comunità o di una nazione di creare strutture capaci di assicurare la propria sopravvivenza o lo sviluppo di procedure che possono far fronte a disastri o evitare pericoli per il gruppo. È quindi evidente che la persistenza e l’ulteriore degradazione del nostro ambiente dimostra che la nostra Società non è resiliente. Il quarto livello della nostra azione ecologica dovrebbe quindi essere quello di aumentare il livello della “resilienza sociale” ( fase di ricerca della “Resilienza sociale” ). Questo argomento è stato largamente trascurato nel passato e gli scienziati ecologisti (come tutti gli altri scienziati) dovranno probabilmente “entrare nella foresta della psicologia delle popolazioni” e trovare una via per creare messaggi scientifici che possano raggiungere il bersaglio finale e cioè l’opinione pubblica. Per gli “scienziati” questa è una prospettiva terrificante proprio come accade nelle favole. Ma gli scienziati hanno un metodo infallibile per risolvere i loro problemi e le loro paure e cioè il metodo scientifico: ipotesi, esperimento, risultato, nuova ipotesi e così via. In sostanza occorre imparare (o creare se necessario) e mettere in pratica un metodo scientifico per aumentare la “resilienza sociale”. Un modo alternativo di comportamento potrebbe essere quello che noi abbiamo seguito fino ad ora e che consiste nel dire “questo non è affar nostro” e continuare a riporre la nostra fiducia nelle Riviste Scientifiche che al giorno d'oggi non soltanto richiedono eccellente qualità degli scritti sottoposti per la pubblicazione (quindi risultato di costosi progetti scientifici) ma anche richiedono un prezzo (una “publication fee”) all'autore: non è facile per gli ecologisti di essere supportati finanziariamente. Altrimenti noi potremmo continuare ad inviare i nostri messaggi alle Autorità Pubbliche: i risultati, come noi abbiamo sperimentato parecchie volte, dipendono dalla qualità delle persone in carica nella Pubblica Amministrazione. Se, come viene spesso detto ed è probabilmente vero, la qualità delle Autorità Pubbliche largamente riflette la qualità (la resilienza sociale?) della società dalla quale essi sono stati eletti, il circolo tende a chiudersi: ci si può fidare delle Autorità solo se la Società è resiliente. Noi, gli ecologisti, se ci proponiamo l’obbiettivo (folle) di invertire l’andamento dei disastri ambientali, dobbiamo primariamente trovare la maniera migliore (chiedere, operare, imporre...) per tentare di aumentare il livello della “resilienza sociale”.
Professor Roberto Ronchetti