Salute e Ambiente
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Anafilassi da carne rossa: l’allergologia clinica non è facile Roberto Ronchetti Professore Emerito di Pediatria- Università La Sapienza di Roma Presidente Sezione ISDE (Medici per l’Ambiente) -Lazio Tanti anni addietro, forse 30, consultai un mio amico che era valente clinico ed allergologo - immunologo di livello internazionale a proposito di una bambina di quattro anni nella quale si sospettava l’esistenza di una allergia alimentare. La consultazione breve perché, di fronte alla negatività delle prove allergometriche cutanee, il verdetto fù: non si tratta di allergia alimentare. Eppure quella bambina era andata incontro a frequenti, gravi episodi di anafilassi senza causa apparente, presentava una chiara “sindrome orale allergica”, aveva sintomi ricorrenti di flogosi delle vie respiratorie e soprattutto migliorava decisamente quando sottoposta ad un regime dietetico “controllato”. Questo regime, protratto per tanti anni, venne fondamentalmente deciso dalla madre che con intelligenza conduceva piccoli esperimenti introducendo solo quantità crescenti di cibi risultati innocui e graditi dalla bambina. Nel corso degli ultimi decenni ho osservato parecchi casi simili a quello e non dubito che se anche oggi consultassi gli scienziati di allergologia clinica la loro risposta sarebbe identica a quella che ricevetti in quel lontano passato. Ho ripensato a questo stato di cose leggendo un gruppo di eccellenti articoli scritti da ricercatori statunitensi il cui contenuto essenziale merita di essere raccontato perché, anche a prescindere dal loro grande significato scientifico, si tratta di un racconto che trovo più affascinante di qualunque romanzo thriller io abbia mai letto. L’inizio della nostra storia è la osservazione che per un processo evolutivo darviniano i primati, ma non gli altri mammiferi, hanno perduto la capacità di produrre una molecola enzimatica ( una transferasi) che è in grado di produrre a sua volta un piccolissimo oligosaccaride (si tratta in realtà di due molecole di galattosio unite insieme) denominato alfa-gal.(1) . L’alfa- gal, che i primati non sono quindi più in grado di produrre, quando introdotto con “le carni rosse” (manzo, maiale , agnello,..) della dieta si comporta come un potente antigene che induce in tutti i soggetti immunocompetenti la formazione di anticorpi IgG con il conseguente sviluppo di una forma di tolleranza. Tuttavia, in soggetti predisposti ed in presenza di fattori ambientali scatenanti, questo antigene può portare alla attivazione di cellule Th2 e quindi alla produzione di anticorpi IgE che sono ovviamente in grado di attivare il complesso meccanismo della iperreattività allergica e sintomi tipici dell’allergia, come orticaria, angioedema ed anafilassi . Probabilmente queste cose non sarebbero diventate una deflagrante notizia allergologica se all’inizio degli anni 2000 non fosse stato introdotto nella terapia di certe forme tumorali ( del collo e del colon) un anticorpo monoclonale ricombinante denominato “cetuximab” (2).Il farmaco si rivelò molto efficace ma fin dal 2002 il suo uso fu ostacolato dalla evenienza di gravi reazioni di ipersensibilità nei pazienti già alla prima somministrazione endovenosa (3). Ovviamente ciò ha generato una gran quantità di studi culminati con la dimostrazione da parte di Chung et al, 2008, che le reazioni allergiche al cetuximab sono dovute ad IgE dirette contro due molecole di alfa-igal contenute nel frammento FC dell’anticorpo monoclonale (4).. Il gruppo di Chung si accorse anche del fatto che le IgE contro l’alfa- gal erano possedute in maniera nettamente prevalente da pazienti residenti in cinque o sei stati del sud est degli USA (Tennessee,Virginia ed altri) ed inoltre che anche il 20 % dei soggetti della popolazione generale mai trattati col farmaco ma residenti in quella zona erano portatori di IgE dirette contro l’alfa-gal mentre questi anticorpi erano invece quasi assenti in soggetti residenti in altre parti del Paese, sia che fossero stati trattati con cetuximab oppure no. Ciò portò Chung e coll a formulare la ipotesi che doveva esistere un evento locale, geografico, nel sud est degli USA in grado di innescare o comunque di facilitare la risposta IgE verso l’alfa-gal . Quasi contemporaneamente un altro gruppo di ricercatori allergologi dell’ università della Virginia ( Commings, Platt-Mills ed altri), che stavano studiando i casi di “anafilassi idiopatica”, si resero conto anche loro che i pazienti che venivano osservando erano tutti abitanti della zona dove Chung et al avevano osservato le violente reazioni allergiche al cetuximab. Così cominciarono a cercare nel siero dei loro pazienti le IgE specifiche dirette contro l’alfa-gal. I risultati furono subito positivi e nel 2009 (5,6) essi furono in grado di pubblicare, tra l’altro, una casistica di 24 soggetti nei quali altissimi titoli di IgE nei confronti dell’ antigene alfa- gal si associavano ad una sintomatologia clinica caratterizzata da anafilassi, angioedema ed orticaria. Questi sintomi comparivano dopo l’ingestione di “carne rossa” (manzo, maiale , agnello) ma invece di manifestarsi, come è regola nell’anafilassi,dopo 1-30 minuti dall’ingestione dell’alimento, esplodevano improvvisamente solo dopo 4-7 ore. La sindrome si verificava in soggetti di ogni età ed anche in persone che precedentemente non avevano presentato nessuna manifestazione allergica e che in passato avevano consumato carni senza alcuna conseguenza (6,7). Dopo aver scartato varie possibili spiegazioni e prendendo in considerazione alcune ipotesi avanzate da ricercatori australiani (8) Commins e coll arrivarono alla conclusione che l’ evento locale, geografico in grado di innescare o comunque di facilitare la risposta IgE verso l’alfa-gal negli stati del sud est degli USA poteva essere la puntura di un insetto. Si dimostrò che questa ipotesi era vera e che l’insetto colpevole era il “Lone star” o “Amblyomma americanum” che vive quasi esclusivamente in quelle zone e che era già conosciuto perchè in grado di produrre una malattia nota come “rocky mountain spotted fever “: la produzione di IgE inizia dopo 1-3 settimane dalla puntura dell’insetto e tende a diminuire nei mesi successivi se si evitano nuove punture (9). Sintetizzando si può dire che è stata documentata la esistenza di una forma di allergia alle carni rosse che ha parecchie interessanti peculiarità: 1) le IgE responsabili sono dirette contro una piccolissima molecola di zuccheri (e non di grosse molecole proteiche come avviene spesso nelle allergie alimentari) 2) la produzione di queste IgE è innescata, in persone predisposte, dalla puntura di un piccolo insetto, meccanismo fin qui non noto in allergologia 3) la manifestazione principale di questa allergia è la comparsa di gravi episodi di anafilassi che, contrariamente a quanto accade di solito in questa patologia , si verificano a varie ore (3-7) di distanza dall’ assunzione delle carni responsabili.: in base ai criteri correnti questo ritardo farebbe spesso classificare (erroneamente ) questi episodi come casi di “anafilassi idiopatica”. . Subito dopo la prima segnalazione, nello stesso 2009, 7 casi con identiche caratteristiche vennero descritti in Francia(10) e Spagna(11). Numerosi altri casi furono segnalati nella fascia costiera orientale dell’ Australia(8). Casistiche pediatriche consistenti sono state pubblicate negli Stati Uniti (12) riguardanti bambini residenti nella zona degli stati del sud –est degli USA ma anche sporadicamente altrove. In molti bambini la sindrome è caratterizzata da angioedema e orticaria più che dai gravi episodi di anafilassi: i sintomi tuttavia insorgono sempre a tre- sette ore di distanza dall’assunzione della carne rossa. Negli ultimi quattro anni i il numero di casi segnalati in tutto il mondo ha di parecchio superato il centinaio con casi descritti sia in Europa ( Germania, Svezia) sia in Australia ed in altre parti degli USA (14). In generale sul piano clinico la sindrome appare caratterizzata da gravità assai variabile: tipicamente i pazienti hanno sintomi più gravi se consumano grandi quantità di carne bovina o preparati di carni in cui abbondi il grasso. Molto spesso sono tollerate piccole quantità di queste sostanze. Tipicamente in questi soggetti si sviluppa una inesplicabile nuova allergia al latte. Ci si potrebbe illudere che la sindrome sia principalmente confinata in zone afose del centro degli Stati Uniti dove vive un insettino pericoloso, ma non è così. Tanto per cominciare sembra che nelle zone epidemiche degli USA si assista ad un aumento reale dei casi clinici e ad un allargamento del territorio in cui la “Lone- star” vive e si riproduce: l’aumento della diffusione potrebbe almeno in parte dipendere dalla sempre maggiore numerosità degli allevamenti intensivi di mammiferi. Ma assai più importante è il fatto che è stato dimostrato come la peculiare funzione di stimolo iniziale fornita negli Stati Uniti dalla “Lone star” può essere sostituita nella fascia costiera orientale dell’Australia dallo “Ioxides holocyclus” , insetto conosciuto perché in grado di provocare paralisi negli animali da allevamento o domestici e anche nell’uomo, mentre In Europa l’insetto in grado di innescare il processo sarebbe lo “Ioxides ricinus”, la zecca dei boschi, che si nutre del sangue degli animali parassitati (la femmina adulta parassita grossi mammiferi e l’uomo) ed è presente dalle coste atlantiche della Spagna fino agli Urali. Una situazione a parte sembra esistere in Africa: alta prevalenza di anticorpi anti alfa-gal sono stati dimostrati in bambini del Kenia e in adulti dello Zimbawe: in queste regioni, dove peraltro non sono ancora stati segnalati casi clinici di anafilassi ritardata, gli elminti sono ritenuti i più plausibili candidati a fornire lo stimolo iniziale al processo. A parte l’ipotesi degli elminti, va detto che quando è un insetto a causare l’insorgenza della sindrome la puntura è descritta come di natura violenta, con prurito e rossore intensi protratti per parecchi giorni(9):. si tratta quindi di un evento abbastanza grave che non può certo rappresentare la regola per la puntura probabilmente frequente degli insetti chiamati in causa ed è quindi logico supporre che già in quel momento sia in gioco una predisposizione ed una ipersensibilità individuale in grado di mettere in azione processi biologici complessi e dai risultati inattesi. Comunque ,casi clinici sporadici ed il reperimento di anticorpi IgE anti alfa-gal verificatisi negli Stati Uniti al di fuori delle zone riconosciute epidemiche ed in varie parti del mondo inclusa l’Europa (Svezia,Germania, Francia) e l’Africa (13) dimostrano che il nostro elenco di possibili agenti iniziali della malattia è tutt’altro che completo e che siamo solo all’inizio di una necessaria urgente ricerca che chiarisca la situazione soprattutto per quanto attiene nelle nostre zone. Di particolare interesse in questa sindrome è il comportamento delle IgE contro l’alfa-gal e contro le carni bovina, ovina o suina. I risultati delle misure eseguite sui 24 casi inizialmente descritti da Commins nel 2009 (5) mostrarono che tutti i soggetti avevano altissimi livelli di IgE specifiche dirette contro l’alfa-gal con valori da 6 a 1500 volte circa superiori al limite di positività: solo in tre casi il livello non era di almeno 10 volte il livello di positività ed in ben 16 casi (66%) i valori erano almeno 100 volte maggiori di tale livello. Viceversa le IgE seriche nei confronti della carni risultarono assai meno abbondanti: ad esempio le IgE per la carne bovina risultarono al di sotto del livello di significatività nel 10 % dei casi e solo nel 15 % dei casi i livelli erano almeno 100 volte superiori a tale limite. Quindi la risposta reaginca (allergica) era diretta principalmente contro la piccola molecola costituita dai due zuccheri e solo in modo secondario o più aspecifico contro il complesso di sostanze antigeniche contenute nella carne. Il fatto è di particolare significato clinico e scientifico perché i prick test cutanei eseguiti in maniera standard con estratti commerciali di carni risultarono non sufficientemente sensibili: e furono negativi per la carne bovina, di maiale e di agnello nel 60-80 % dei casi . Va detto che negli stessi pazienti risultati positivi del prick test furono ottenuti nel 100% dei casi quando vennero usati come allergeni estratti di carne fresca o vennero praticati test con prodotti commerciali però per via intradermicia, ma da tantissimi anni ed anche attualmente quasi tutti i pazienti che consultano i nostri ambulatori vengono classificati in base ai risultati di prick test eseguiti con estratti commerciali che in base a questi dati risultano dotati di assai piccolo potere diagnostico in questa sindrome. È di rilievo il fatto che in una recentissima pubblicazione dei ricercatori della Virginia (12) dedicata esclusivamente a bambini con storia di anafilassi o orticaria ritardate e portatori di anticorpi serici IgE anti alfa-gal e nella quale è riportata una dettagliata analisi delle IgE seriche contro vari allergeni, non sono neanche riportati i risultati dei test cutanei allergometrici: nella discussione gli Autori affermano che i test cutanei per manzo,maiale e agnello danno risultati dubbi sia nell’adulto che nel bambino e molti pazienti mostrano ponfi piccoli per questi allergeni,Per questo motivo essi consigliano di cercare la diagnosi con i test in vitro ed avanzano numerose possibili spiegazioni tecniche per questo stato di cose. Sul piano pratico questa situazione comporta che se non si usa il giusto antigene (l’alfa-gal) non si formula la giusta diagnosi eziologica nei casi di “anafilassi tardiva” che sono ovviamente gravi dal punto di vista clinico. E’lecito a questo punto domandarsi se esistono altre sindromi ancora sconosciute ma con analoghe caratteristiche allergologiche che non vengono diagnosticate perché non conosciamo ancora il vero antigene da impiegare nello screening diagnostico. Rimane che i risultati dei test allergologici nella sindrome che stiamo descrivendo rompono, sia pure in un caso particolare, un dogma che ha imperato fino ad oggi secondo cui la negatività dei prick test attualmente in uso equivale alla dimostrazione di inesistenza di allergia verso alimenti . Inoltre, il fatto che nei soggetti con anafilassi da IgE anti Gal intercorrono varie ore fra il consumo di carne rossa e l’insorgenza di sintomi (gravi) crea difficoltà anche ad un altro baluardo dell’allergologia alimentare, il challenge” ovvero la somministrazione a fini diagnostici di quantità crescenti di alimento, eventualmente in doppio cieco. Questa procedura è assai difficile da immaginare in una situazione in cui dopo ogni singola dose i sintomi attesi si dovranno verificare dopo varie ore: inoltre, come detto, sembra esistere una soglia di quantità al di sotto della quale l’alimento è apparentemente tollerato, ma superare questa soglia potrebbe avere conseguenze gravissime (13). Non sappiamo ancora quale sia la reale dimensione numerica della sindrome da anafilassi tardiva, ma è certo che la dimostrazione dell’esistenza di questa sindrome riduce la forte discrepanza ancora oggi esistente fra la bassissima prevalenza di allergia alimentare dimostrata dagli “studi controllati” (circa l' 1-2% della popolazione,ma ormai in età pediatrica si riportano prevalenze del 6%)(14) e la percentuale delle persone che ritengono di esser vittime di sintomi clinici causati da cibi (12- 20% circa): l’esistenza della allergia nei confronti dell’alfa-gal dimostra che in una certa misura questa discrepanza trova spiegazione nella nostra attuale ignoranza,e le cose che ignoriamo o che non abbiamo ancora approfondito abbastanza sono molte (15). E’ovvio che occorre una assoluta scientificità nell’affrontare il tema delle intolleranze alimentari che le persone denunciano ma che non sono poi documentate dalle indagini di laboratorio : ma è giusto anche ribadire con chiarezza che il problema esiste, non può semplicisticamente essere messo da parte. Certamente esso deve essere affrontato con indagini scientifiche a tutto campo prime fra tutte le indagini epidemiologiche.: queste debbono essere di guida per la successiva ricerca immunologica e di laboratorio, come dimostra la stimolante vicenda scientifica oggetto di questa pubblicazione. A mio avviso si dovrebbe (tra le altre cose) dedicare energie alla ricerca della “predisposizione” tramite indagini che mettano in evidenza caratteristiche peculiari delle persone affette da una certa patologia. Per chiarire questo concetto citerò l’esempio di una pubblicazione del nostro gruppo di lavoro (16) che nel 2002 ,analizzando i dati di varie indagini nelle quali a bambini delle scuole elementari erano stati somministrati oltre cinquemila questionari riguardanti l’asma e sintomi extra respiratori (dolori addominali, cefalea, orticaria, prurito, disturbi del sonno, irrequietezza, ecc.) dimostrò che la prevalenza di asma era del 10,2% nei soggetti che non presentavano alcun sintomo extrarespiratorio, del 20,1% nei soggetti con almeno uno di essi e del 31,6% nei soggetti con due o più di questi sintomi. Indagini successive sugli stessi dati hanno dimostrato che a loro volta i dolori addominali sono assai più frequenti nei soggetti con cefalea ed ovviamente la cefalea è fortemente prevalente nei soggetti con dolori addominali. A ciascuno di questi due disturbi si associano altri sintomi in modo tale che se un soggetto presenta con frequenza dolori addominali o cefalea ha una probabilità del 33% maggiore di avere asma e del 100% maggiore di avere eczema, rinite, irritabilità e disturbi del sonno. Questi dati statistici sono ancora più significativi se si introduce nel modello di analisi il fatto di essere di sesso maschile, avere familiarità per malattie allergiche, rifiutare abitualmente almeno un cibo, …. È evidente come questi dati individuino soggetti nei quali convergono sintomi multipli e che pertanto dimostrano di possedere una particolare “predisposizione “; i dati ribadiscono inoltre che queste associazioni sono non spiegate dalle nostre attuali conoscenze di immunologia sia essa IgE mediata o di altra natura. Prendere atto di questa nostra “ignoranza” è la premessa per avviare ricerche scientifiche, mirate, di ampio respiro e non condizionate da preconcetti o atteggiamenti negazionisti. 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Professor Roberto Ronchetti