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Professor Roberto Ronchetti
Le epidemie causate nel globo dal “Covid-19”:il significato della loro localizzazione geografica.
Roberto Ronchetti - Professore Emerito di Pediatria - Università “La Sapienza” di Roma
Pietro Massimiliano Bianco – Ricercatore Istituto Superiore Protezione Ricerca e Ambiente (ISPRA) - Roma
Collaborazione di Maria Grazia Forti e Stefano Ruffini.
L’epidemia
scoppiata
nel
gennaio
2020
a
Wuhan,
in
Cina,
a
causa
della
comparsa
di
un
virus
antigenicamente
nuovo,
il
Covid-19,
e
il
suo
diffondersi
successivo,
ha
fatto
conoscere
all’umanità
una
minaccia
altamente
drammatica
e
angosciosa.
Drammatica
perché
il
virus
si
è
diffuso
a
livello
mondiale
con
una
velocità
incredibile
e
con
epidemie
estremamente
numerose
e
a
molte
delle
quali
si
è
associata
una
elevatissima
mortalità.
Questi
eventi
sono
anche
angosciosi
per
la
società
civile
perché
dopo
tre
mesi
di
disastri
sanitari,
sociali
ed
economici,
non
è
stato
possibile
alle
autorità
politiche
e
agli
“Esperti”,
nessuna
razionale
previsione
circa
il
fatto
se
e
quando
questo
flagello
si
attenuerà,
scomparirà
o
se
invece
rimarrà
latente
ma
presente
negli
anni
avvenire.
Abbiamo
ritenuto
che
qualche
certezza
possa
derivare
da
un’analisi
complessiva
dei
dati
che
le
Autorità
Internazionali,
dei
singoli
Stati
e
delle
località
colpite,
hanno
messo
a
disposizione
per
descrivere il diffondersi del virus e le dimensioni dei singoli eventi epidemici.
Abbiamo
trovato
dati
ufficiali
attendibili
che
descrivono
248
epidemie
verificatesi
in
ogni
parte
del
pianeta.
Da
un
esame
preliminare, e certo finora incompleto, dei dati abbiamo ottenuto due informazioni che riteniamo importanti:
1)
La diffusione del Covid-19:
I
dati
dimostrano
che
l’epidemia
iniziata
a
Wuhan
nella
seconda
settimana
di
gennaio
2020
e
durata
circa
10
settimane
è
stata
il
punto
di
diffusione
del
virus
che
ha
seguito
percorsi
a
raggiera
in
tutte
le
direzioni.
La
prima
diffusione
si
è
avuta
verso
il
Nordest
con
le
epidemie
di
Corea
e
Giappone,
la
seconda
linea
importantissima
di
diffusione
è
stata
verso
ovest
con
l’epidemia
di
Teheran,
iniziata
più
di
un
mese
dopo
quella
di
Wuhan
ma
poi
seguita
dopo
solo
una
settimana
dalla
grande
epidemia
della
Pianura
Padana
e
poi
nell’arco
di
10-15
giorni
successivi
in
Francia,
Spagna,
Inghilterra,
e
dopo
soli
altri
4
giorni
a
New
York
e
Washington.
Parallelamente
sembra
che
da
Parigi
(giorno
45°
dopo
Wuhan)
in
pochi
giorni
l’epidemia
sia
comparsa
nell’arco
di
una
settimana
ma
in
successione
in
Olanda,
Belgio,
Germania,
Polonia
e
Russia.
Altre
direzioni
di
espansione
del
virus
si
sono
verificate
in
successione
nei
Paesi
a
sud
est
della
Cina
e
nell’Asia
meridionale.
La
sequenza
di
date
dalla
comparsa
dell’epidemia
in
tutte
queste
località
sembra
non
lasciare
dubbi
sul
fatto
che
nell’arco
di
poco
più
di
due
mesi
c’è
stata
una
marcia
epidemica
di
incredibile
rapidità
in
ogni
direzione
del
virus
comparso
a
Wuhan.
Tutto
ciò
significa
che
l’epidemia
causata
da
questo
nuovo
virus
ha
carattere
certamente
pandemico
e
cioè
di
una
diffusione in ogni parte del globo in un tempo molto limitato.
2)
Localizzazione geografica delle epidemie:
Dopo
un
esame
attento
della
gravità
e
della
distribuzione
geografica
mondiale
delle
248
epidemie,
abbiamo
ritenuto
di
dover
suddividere
le
epidemie
stesse
in
gravi
(più
di
1000
casi)
e
meno
gravi
(minore
di
1000
casi):
per
semplicità
in
questa
sede
non
parliamo
di
mortalità
la
quale
tuttavia
è
fortemente
associata
alle
epidemie
con
più
di
1000
casi
con
variazioni
che
vanno
dal
3
al
10-15%
dei
casi
osservati.
In
secondo
luogo
è
apparso
necessario
suddividere
le
epidemie
in
base
al
fatto
che
esse
si
fossero
oppure
no
verificate
in
una
fascia
geografica
del
pianeta
compresa
fra
30°
e
45°
di
latitudine
Nord:
questa
fascia
è
quella
dove
nei
due-tre
mesi
nel
corso
dei
quali
si
è
diffuso
il
Covid-19
c’era
un
regime
meteorologico
di
inverno
mite
(sopra
la
latitudine
45°
Nord
l’inverno
è
stato
certamente
più
rigido).
In
base
a
questi
due
parametri
(gravità
e
localizzazione
geografica)
risulta
che
la
stragrande
maggioranza
(90%)
delle
epidemie
gravi
(67
su
74)
che
al
30
Marzo
2020
avevano
dichiarato
più
di
1000
casi,
si
sono
verificate
nella
fascia
di
latitudine
caratterizzata
dalla
stagione
invernale
mite.
Viceversa
la
maggioranza
delle
epidemie
con
meno
di
mille
casi
(62%)
si
è
verificato
al
di
fuori della fascia invernale.
In
conclusione
siamo
di
fronte
ad
un
virus
pandemico
che
con
grandissima
prevalenza
si
esprime
con
gravità
e
mortalità
solo
in
una
specifica
area
con
particolari
caratteristiche
meteorologiche.
Si
tratta
quindi
certamente
di
un
virus
pandemico
ma
al
contempo
condizionato
dalla
stagione
invernale
come
è
tipico
della
categoria
dei
virus
respiratori
a
cui
il
Covid-19
appartiene.
Pertanto
con
questa
forte
limitazione
della
sua
caratteristica
pandemica,
difficilmente
il
Covid-19
può
essere
paragonato
al
virus
influenzale
che
nel
1917-1918
causò
la
“Spagnola”
,
epidemia
che
ovunque
nel
mondo
produsse
milioni di morti.
Risulta
poi
che
la
caratteristica
pandemica
del
Covid-19
che
ha
provocato
l’insorgere
di
epidemie
lievi
in
ogni
parte
del
mondo
va
considerata
una
caratteristica
per
noi
favorevole
perché
alla
fine
del
periodo
epidemico
in
corso
lascerà
una
diffusissima
immunità
che
potrebbe
in
futuro
proteggere
moltissime
popolazioni
da
ricomparsa
di
un
virus
che
non
sarà
più allora sconosciuto.
La
seconda
osservazione
secondo
cui
le
drammatiche
epidemie,
molte
delle
quali
tuttora
in
corso,
accompagnate
da
alta
mortalità
e
che
hanno
richiesto
misure
sociali
pesantissime
e
hanno
causato
danni
incalcolabili
all’economia,
si
sono
verificate
solo
in
località
in
cui
regnava
una
certa
stagione
invernale.
Ciò
significa
che
il
nuovo
virus
non
è
poi
così
pandemico:
esso
per
espletare
la
sua
attività
epidemica
in
forma
grave
è
fortemente
influenzato
da
certe
condizioni
ambientali
prevalentemente
meteorologiche
ma
certamente
da
molti
altri
fattori.
Si
può,
pertanto,
ottimisticamente
pensare
che
con
l’avvento,
nella
zona
colpita,
di
un
clima
primaverile
estivo,
l’attività
del
virus
cessi,
come
del
resto
avviene per tutti i virus respiratori a cui il nuovo Coronavirus appartiene.
È
possibile
quindi
ipotizzare
che
alla
fine
delle
curve
epidemiche
che
il
virus
sta
descrivendo
nella
fascia
geografica
30°-
45°
latitudine
Nord,
esso
cesserà
di
circolare
come
è
praticamente
avvenuto
in
Cina
e
Corea
dl
Sud
dove
si
sono
verificate
le
epidemie
iniziali:
in
queste
località
il
numero
dei
nuovi
casi
giornalieri
sono
sporadici
al
momento
attuale,
inferiore
a
100
nell’enorme
Cina
ed
inferiore
a
20
nei
50
milioni
di
abitanti
della
Corea
del
Sud.
Questi
numeri
includono
le persone che dall’estero ,dove ci sono eventualmente epidemie attive,entrano in queste nazioni. (si veda figura).
Se
anche
da
noi
le
cose
andranno
in
questa
maniera
sarà
possibile
quindi
tra
qualche
settimana
abolire
le
misure
di
confinamento sociale senza incorrere nel pericolo di ripresa del morbo.
Alla fine di queste considerazioni è d’obbligo una riflessione.
Questa
esperienza
dolorosa
di
tutti
noi,
potrebbe
influire
sui
comportamenti
dell’umanità:
si
può
infatti,
rilevare
che
in
questa
circostanza
in
cui
più
di
100.000
esseri
umani
hanno
perso
la
vita,
autorità
e
popolazioni
sono
stati
concordi
nell’attuare
misure
e
imporre
comportamenti
che
hanno
per
certo
limitato
di
molto
la
perdita
di
vite
umane.
È
però
la
prima
volta
che
l’umanità
nel
suo
insieme,
le
forze
politiche,
la
finanza
internazionale
e
la
popolazione
civile
hanno
accettato gravi perdite economiche per salvare vite umane: tutto ciò è lodevole.
Ma
di
certo
il
Coronavirus
non
è
l’unico
né
il
più
pericoloso
agente
ambientale
in
grado
di
causare
un
numero
elevatissimo
di morti che con adeguate misure potrebbero essere prevenute nel pianeta…
La figura mostra l’andamento della curva dell’epidemia di Covid-19 nell’intera Cina aggiornata all’ 11 aprile .
La figura mostra l’andamento della curva dell’epidemia di Covid-19 nell’intera Corea del sud aggiornata al 17 aprile.